Nottataccia per una infernale sarabanda sotto l'albergo, dovuta allo sposalizio di quel citrullo visto ieri a cavallo. Tun, turututun, tun tun. Un'ossessione. La peggiore disco music arrangiata dalle scimmie urlatrici. Decibel da supplizio infernale fino all’una di notte. Poi all'alba, prima ancora della preghiera del muezzin, un tamburino che la sera prima non aveva dato sfogo a tutto il rancore (tipico dell'amante tradito) ha riproposto un altro assolo del turututun. Maledetto. Ci ha riconciliato con la vita l'apparizione del Kumbhalghar, una roccaforte folle per la sua estensione (36 chilometri di mura, così spesse da poter essere percorse da otto cavalli affiancati), per le fortificazioni (700 postazioni per cannoni), per il culto (360 templi). Fu conquistato una volta soltanto ma dopo due giorni gli stessi invasori decisero di andarsene. Da qui dove siamo adesso, il favoloso Taj Lake Palace, verrebbe invece la voglia di non partire mai più. Marmo bianco emergente dal lago di Udaipur, cascata di petali allo sbarco, ricercatezze e preziosità in ogni angolo. Aperitivo nella reggia dei gentili regnanti, cena sulla terrazza dell’altro albergo che fronteggia il nostro e che ne rimira la magica eleganza. Nell’invito si precisava l’abbigliamento, “smart casual”. Alla giacca blu ho abbinato un vecchio, elegante pantalone grigio. Ma mi stava strettissimo. Rita ha dovuto spostare i bottoni e, come a Fantozzi la signora Pina, me li ha pietosamente ricuciti sul davanti...