Lo Sheraton di Newark ha poche cose di buono. Una è che sta attaccato al’aeroporto (la peggiore di tutte -a parte il cibo orripilante- è la piscina a fianco della hall, piena di marmocchi urlanti fino a tarda notte). Le procedure per portarci le macchine sono state semplicissime ed è stato possibile scattare e filmare fin dentro Antonov, una specie di Apterix, l’uccello-dinosauro volante della preistoria. Liberi alle 11, pullman per l’aeroporto di New York alle 15,30, partenza alle 20,30. Ma non è meglio andarcene per conto nostro prima a Manhattan e poi all’aeroporto Kennedy? Certo che è meglio. Eccoci sulla Quinta Strada, le facce e l’andatura degli italiani in gita, un po’ fieri di vedere che i negozi più belli ed eleganti sono tutti italiani (Gucci, Versace, Armani, Fendi. Volendo, anche “De Picciotto”). Rita compra una Polaroid che fa immediatamente foto piccole piccole, ma con il retro attaccabile. Fotograferà tutte le coppie dei partecipanti, mettendo poi l’immagine nel libretto con gli indirizzi. Una sciccheria che cominciano ad invidiarci un po’ tutti. Dopo la Quinta, Lexington, l’immancabile Bloomingdale’s, salmone nella cafeteria, ariquinta fino al Central Park e poi giù fino all’Empire. Piedi in bollore dopo quattro ore di camminate, taxi scomodissimo che conferma la reiterata stupidità di certi americani (macchina enorme e spazio lillipuziano per i passeggeri: ma perché?). Il Jumbo dell’Air Marocco è bello pieno. Ma, come osserva qualcuno di noi, “Si torna alla civiltà, finalmente”.