Otto ore di deserto, quello tosto, sabbia e sassi tutt’intorno, montagne argillose e scanalate dai venti e dall’acqua. Ma tappa facile, nessuna insidia, una strada eccellente, costellata da militari, poliziotti, vigili urbani, comunque uomini in divisa. Ogni bivio, ogni villaggio presidiato da qualcuno degli appartenenti a questa casta privilegiata: quella che possiede l’autorità, che veste meglio, che può introdurre nel parcheggio riservato dell’hotel familiari e amici entusiasti di farsi fotografare accanto alle Rolls Royce o alle vetture sportive. Al controllo intermedio siamo arrivati tutti con un’ora abbondante di anticipo e tutti abbiamo mangiato di gusto uno zuppone che veniva preparato all’istante con carne, verdure e spaghetti appena ammatassati. Abbiamo percorso la prima parte della variante nord della Via della Seta. Oggi una comoda superstrada, tutta dritta e poco trafficata (anche perché gli uomini in divisa bloccano chiunque al nostro passaggio); ma fino a un secolo fa, tremendo impegno per le carovane che l’affrontavano. Taklamakan pare che significhi “il deserto senza ritorno” e in effetti immaginarne l’attraversamento a dorso di cammello mette paura. Il nostro cammello attuale, Vagabunda, è filata via tranquilla: a tremila giri fa novanta all’ora e può tenerli finchè vuole. Domani tappa ancora più facile e più breve, almeno sulla carta. Il prossimo test sarà dopodomani, alle porte di Turpan, l’oasi fiorita a 154 metri sotto il livello del mare, una specie di miniera a cielo aperto con micidiali vampate di calore. Vedremo: oggi la Flavia non ha mai raggiunto la sua temperatura ottimale, non sarà un po’ di caldo o un migliaio di giri del motore in più a farle paura.