Una giornata di quelle che ti restano nei ricordi della vita. E che è difficile raccontare per le emozioni intense, l’assoluto sbalordimento, i tantissimi brividi provocati da questo sito con 800 templi, una infinita metropoli di devozione scolpita nel marmo e vissuta da migliaia di fedeli con offerte, canti, preghiere e duri pellegrinaggi. Sì, perché per raggiungere questa città templare bisogna inerpicarsi per 3.300 scalini (e c’é pure chi se li fa in ginocchio, spolverandoli prima a uno a uno). Lettighieri e portantini assillano fino a quota mille, poi ti lasciano ai tuoi polpacci e alla disperazione della tua fede. Arrivati in cima si rimane affascinati da una distesa di marmo, sculture rifinitissime, cupole e tempietti dedicati al dio dei giainisti, Adinath, che proprio sotto un veneratissimo albero millenario avrebbe ricevuto l’illuminazione. I portantini si riposano esausti, come molte donne affrante dalla scalata. Tanti uomini si cambiano d’abito, avvolgendosi in grandi vesti bianche, segnandosi la fronte, recando offerte di fiori, polvere di colori, mangimi. Uno stuolo di sagrestani vestiti d’arancione tiene tutto in ordine, spazzando dolcemente dovunque, lustrando le immagini divine. I giainisti hanno un religioso e totale rispetto di tutte le vite, non compiono alcun gesto che potrebbe provocare la morte di qualcuno - bruco formica millepiedi che sia. Non mangiano per esempio le carote perché, nell’estrarle da terra, qualche insetto imprevidente potrebbe rimetterci la ghirba. Penso che noi, nell’affrontare di nuovo i 3.300 scalini della penosa discesa, non abbiamo badato molto a ciò che andavamo calpestando. Speriamo che Adinath, nella sua infinità bontà, voglia perdonare i nostri peccati. E restituirci i polpacci.