La casa americana è monofamiliare e ha il giardino davanti. Non ci sono steccati o siepi a dividere le proprietà. Sarebbero tutte uguali, l’aiuola fiorita, il porticato, le tendine. Per distinguersi, si addobba il giardino. Ecco allora uno sbocciare di tronchi, altalene variopinte, reti per la pallavolo, totem. E pupazzi. Sul pupazzo l’americano fa galoppare la fantasia. Non tanto i banali sette nani e Biancaneve a grandezza naturale; quanto alci in corsa colpiti dall’indiano con l’arco, cerbiatti e orsi, galline e papere di gesso. La sagoma in ferro battuto del cow-boy che fuma una sigaretta o lancia il lazo, le olandesine. Bambini di latta che si rincorrono, una miriade di mulini a vento in scala ridotta, con le pale rigorosamente funzionanti. E al centro, alta e svolazzante, la bandiera. Tutti hanno la bandiera, la espongono, forse la venerano. Comunque, la vita familiare, i giochi dei bambini, la pipata del nonno, tutto si svolge sotto l’abbraccio vigilante e protettivo delle stelle e delle strisce. Bene. La strada che abbiamo scelto stamattina, invece che a est, puntava un po’ a nord. Ci siamo fatti la costa americana dell’Ontario. Davvero bella, ville graziose, lucide, fronte lago. Strade scorrevoli, quasi levigate, dove Vagabunda ha preso a galoppare compiaciuta. Quando si è trattato di andar verso sud per rientrare nel percorso, ci siamo appena smarriti. Fermi sul ciglio della strada per un consulto. Si è avvicinato un automobilista, gentilissimo, due chiacchiere, “Follow me”, seguitemi. Pensavamo si trattasse di cinque minuti. Invece, erano cinquanta chilometri fino al controllo orario che non avevamo nessuna intenzione di marcare. Comunque, siamo giunti in tempo al Cannonball Ferrari pub. Foto ricordo per Vagabunda. Peccato che i commissari se n’erano già andati via…Brutta autostrada verso Binghamton, domani saremo a Newark. L’America è finita. Ci aspettavamo tanto di più.