Moscerini, guidando tutti i giorni, ne ammazziamo tanti. Ecco perché Adinath, il primo illuminato dei 24 profeti giainisti, ci odia tanto. La sua religione impone di non uccidere alcun essere vivente, i seguaci li vediamo con una benda bianca sulla bocca per non inalare, inavvertitamente, sciocchi piccoli insetti. Mentre noi, con le nostre macchine, chissà quali stragi andiamo commettendo. E lui si vendica. Stamattina, in una banale torsione per caricare i bagagli, ho sentito come un uncino arpionarmi la coscia sinistra. Era lui di sicuro, feroce e spiritato, a esibirsi nel classico “mozzico del somaro”. E così la tappa più lunga del raid l’ho fatta con la coscia dolorante. Più di 500 chilometri, strade niente male, lunghi rettilinei nel deserto che ci hanno portato a Jaisalmer, snodo carovaniero, raccaforte inespugnabile, avamposto nelle guerre contro il Pakistan. Domani - con calma e, si spera, con la coscia in ordine - andremo a visitarla per bene. Oggi, fino al tramonto ce ne siamo stati nella piscina di un hotel al cui architetto qualcuno deve aver detto “Disegna un albergo indiano come farebbe uno scenografo pazzo di Cinecittà”. Archetti, statue, cupole. I tamburi e le ghirlande all’arrivo. Perfino un figuro su trampoli enormi che poco ci manca lo travolgo con la Giulia. Che continua a macinare chilometri spavalda. Si lamenta tra i 60 e i 70 all’ora. Ma se è la corda del contachilometri, domani la stacco così la pianta di sbrindellarci l’anima.