Il bravo rallista controlla l’auto prima di ogni partenza. E così stamane ho visto che il sacchetto con l’acqua tergivetro era vuoto. L’ho saggiamente riempito, funzionava. Ho riprovato poco dopo, non andava più. Mistero. Il capo meccanico gli ha dato appena un’occhiata: semplice Watson, c’è un buco. Problema della vulcanizzazione risolto, ultima foto al palazzo dei sogni di Bundi ed eccoci per la strada verso Menal e quello che nelle guide viene definito come “complesso templare”. E’ dedicato a Shiva, il dio distruttore, cui ci siamo raccomandati come si fa col boia prima dell‘esecuzione. Tutta la base è un cesello di elefanti; poi un’ampia strip con i racconti - pensiamo - delle sue gesta in tutti i settori (compreso quello sessuale: i bassorilievi ne raccontano di cotte e di crude...); infine statue scolpite di altre divinità, della bellissima e crudele Parvati e di tutte le volte in cui assume le sembianze di Durga, un’altra divinità sterminatrice. Un po’ in soggezione abbiamo ripreso la strada, fermandoci un attimo per fotografare le coltivazioni di papavero. Nessuno può coltivarne, su licenza governativa, più di un ventesimo di ettaro e al massimo può produrne, sempre per il governo che poi se lo rivende ai cinesi, sei chili l’anno. L’albergo è bellissimo, un palazzo del sedicesimo secolo trasformato in relais di lusso, cortili fioriti, piscina tutta di marmo, ornata con capitelli e colonne. Che sembrano proprio quelle mancanti del tempio di Shiva.