Almeno 300 persone hanno partecipato al briefing di questa gara che, per dare più l’idea di come sia estrema, viene sottotitolata “driving the impossible” (guidare l’impossibile). I singoli relatori hanno ampiamente illustrato tutte le difficoltà, le maggiori cause di rottura, le malattie a rischio, l'assenza di strade in Mongolia e quindi l'assoluta necessità di impadronirsi bene dei meccanismi e del funzionamento del Gps. La prova successiva lungo le stradine della contea é servita per riprendere confidenza con lo strumento. Noi due "rallisti per caso" eravamo in macchina con Marco Cajani, il presidente della Scuderia del Portello e, a parte un paio di errori dovuti essenzialmente alla mancanza del Tripmaster, siamo riusciti a tornare indenni e felici alla base individuando uno dopo l'altro tutti i way point e timbrando regolarmente ai controlli. Ci hanno dato le targhe in metallo, i giubbotti, la tracolla e i portachiavi col numero di gara. Ci hanno spillato altre sterline per un tracciatore che consentirà a tutti di sapere dove ci siamo esattamente perduti durante il rally. Chi ce le aveva pronte ha portato le auto e le ha esibite nel parcheggio. Tutte molto muscolose, qualcuna con un livello di preparazione da guerra del Golfo. Noi del gruppo "Quelli con le Giulia" siamo stati commiserati ("Alfa Romeo? Non credo che vi rivedremo a Parigi...Auguri!) dai piloti belgi di una Datsun 240Z. Il cui motore però, alla fine del giretto per provare a orientarci col Gps, aveva già un rumoraccio... Abbiamo rivisto gli amici più simpatici dell'organizzazione, ci siamo abbracciati con Andy "Pasquale" Inskip, il capo meccanico più competente e simpatico al mondo. Nel museo tutta roba inglese, compreso un miscuglio rosa tra jet e navetta spaziale su sei ruote. Inadatto alle nostre necessità mongole, direi. Meglio allora qualcuna delle classiche biciclette all’ingresso...