Tre rettilinei per 800 chilometri, con arrivo a Jamestown, la città del Nord Dakota che si vanta di avere il bufalo (o la bufala) più grande del mondo (è di cartapesta). Tutto liscio per Vagabunda che oramai ha preso il passo autostradale e basta un pieno per macinare qualsiasi tappa. Paesaggio monotono, le grandi praterie intorno al bacino del Missouri. Dopo un po’ ti accorgi che manca qualcosa: la gente. Campi sterminati, a perdita d’occhio, quasi tutti coltivati, molta acqua d’intorno, macchinari mostruosi per innaffiare. Ma non c’è nessuno, è un’agricoltura strana, si vedono solo i risultati e non le fatiche. In Cina c’era sempre qualcuno con la zappa, per i campi o per la strada. Per la verità, in Cina sapevano anche cos’è Internet. Sembra incredibile ma chiedendo dove è possibile spedire una e-mail, da queste parti ci si sente rispondere che ormai l’ufficio postale è chiuso. Un’America chiusa in se stessa, baseball in continuazione in tv, poca o nulla considerazione per le esigenze degli altri. Come dire: siamo noi il centro del mondo, cosa andate cercando di più? Mah, ci penseranno i cinesi, nel giro di qualche decennio, a suonare la sveglia. Una sveglia che invece per noi continua a suonare prima delle 7: timbro di partenza, rettilinei, timbro d’arrivo. La gara segue le solite stradine, la classifica non si muove, le prove sono state notevolmente ridotte di numero e di intensità. Il terribile Broderick è secondo assoluto, la Mustang terza: il primato della Hillman sembra inattaccabile. Ciriminna resiste stoicamente al terzo posto delle anteguerra, ieri ha voluto percorrere lo stesso una strada chiusa per lavori, vicina all’arrivo, e si è impantanato. Undici minuti di ritardo. Domani sera, appuntamento con l’equipaggio olandese della Porsche: se l’Italia batte i tulipani e va in finale, toccherà a me pagare lo champagne.