Mille statue di Budda, dei suoi discepoli, scene della sua vita raccontate 1500 anni fa. Tutto nella pietra, scavata, intagliata, scolpita da monaci-artisti. Le statue più grandi sfiorano i venti metri di altezza, si trovano all’interno di queste grotte che si stagliano sul fianco di una montagna di tufo. Impressionante la pazienza, il rigore, la geometria del lavoro. Un po’ come le strade che cominciano a percorrere: perfette se finite, con a lato miliardi di giovani pioppi. Strazianti se in costruzione. Un continuo deviare, scendi e sali in fossati di polvere e sabbia: e la via che sarà rifatta è in condizioni ancora peggiori. L’ennesima deviazione imprevista ci porta un bivio sconosciuto. Poi un camionista fa capire qual è la direzione da prendere. Si arriva a un villaggio di yurte, le tende dei mongoli nomadi rivisitate in chiave alberghiera, con sala da pranzo per mille persone. Canti e suoni, ragazze in costume. Con la sera scende il freddo. Ci si arrangia il letto sovrapponendo sei piumoni, l’interno dei cuscini è fatto di semi (o di riso?). Rispolvero il mio storico cachemire amaranto per sonni ristoratori.