Lasciato un pezzetto di cuore nella maestosità di Samarkanda, ci siamo avviati per l’autostrada che conduce a Tashkent, meno di 300 chilometri. Poteva essere una tranquilla passeggiata e invece quel furfante di Philip Young è andato a inventarsi una digressione per le montagne di Nuratau. Il programma della “prova speciale” prevedeva 69 chilometri in 59 minuti. Bene: la direzione di gara ha deciso di accorciare il tempo a 55 minuti. E quindi, dài a pigiare l’acceleratore. La prima parte era un veloce falsopiano, strada stretta fra vasti altopiani. Poi, ovviamente, sono arrivate le buche. In una in particolare, dopo un ponticello, ho spaccato la marmitta. Motivo in più per darci dentro, tra le proteste sacrosante del mio co-driver. Conclusione: “netto” abbondante all’arrivo, ma rammarico per non aver affrontato tutta la prova con un po’ di giudizio in più. Molti hanno pagato pesanti penalità, molti -soprattutto tra le anteguerra- hanno rinunciato a compiere la prova, preferendo il massimo del ritardo. Classifica immutata nelle primissime posizioni (ehm, ehm…noi sempre quarti assoluti e primi di categoria). Officina Daewoo a Tashkent, saldatura con rinforzo, rapida e professionale. In più mi hanno sistemato l’ammortizzatore posteriore sinistro e saldata una parte di carrozzeria che cominciava ad aprirsi. Lavaggio compreso, trenta dollarucci. Altrettanti per la benzina, che qui è cara. Tashkent era la quarta città per grandezza dell’Unione Sovietica (dopo Mosca, Leningrado e Kiev) e rimane la più “russa” fra quelle delle repubbliche asiatiche. Grande estensione, parchi, viali spropositati, palazzoni kisch, diecimila lire in albergo per una birra. Noi abbiamo cenato con il solito “pacco del lavoratore”, bresaola e parmigiano di casa. Domani, trasferimento di 600 chilometri. Ma non potevamo restarcene ancora nell’affascinante, splendida e imperiale Samarkanda?